Scheda n. 7993

Tipo record

Scheda inferiore

Tipo documento

Musica manoscritta

Data

Data incerta, tra il 1640 e il 1660

Titolo

Ravvolse il volo e si librò

Presentazione

Partitura

Legami a persone

compositore: Rossi, Luigi (1597-1653)
autore del testo per musica: Della Corgna, Fabio (1600-1643)

Pubblicazione

Copia

Descrizione fisica

C. 19r-26v ; Iniziale ornata

Filigrana

Non rilevata

Titolo uniforme

Ravvolse il volo e si librò. Cantata lamento

Organico

Soprano e continuo

Repertori bibliografici

Caluori 1981: p. 85, n. 161

Bibliografia

Burrows 1961: p. 85, n. 161
Caluori 1981: pp. 85-86

Descrizione analitica

1.1: (arioso, la maggiore, c)
Ravvolse il volo
2.1: (recitativo, c)
Vendica o bella dea
3.1: (aria, la minore, c)
Dice a lui diletta prole
4.1: (recitativo, c)
E se mendace a suoi diletti arrido
5.1: (refrain, c)
Mi sia figlio lo sdegno e non Cupido
6.1: (recitativo, c)
Ripiglia amore io di fare tra aurati
7.1: (recitativo, c)
Ti sia figlio lo sdegno, e non Cupido.
8.1: (recitativo, c)
Io diedi in mano a la Donzella audace
9.1: (refrain, c)
Ti sia figlio lo sdegno, e non Cupido
10.1: (recitativo, c)
Tacque amore e la vezzosa

Trascrizione del testo poetico

Ravvolse il volo e si librò su l’ali
Sdegnoso amore un dì
Avanti a Citherea
E fra l’ira e l’ardor gridò così.

Vendica o bella Dea
Dell’offeso tuo figlio il grave oltraggio
Fu il dispietato dio che l’armi regge
E con tiranna legge
Suo furor nel mio regno avvien che parti,
E tu madre il comporti.
Ah s’ami più quel traditore infido,
Ti sia figlio lo sdegno e non Cupido.
Ad amor ch’irato freme in sembiante,
Di pietà Citherea che l’ama e’l teme
Volge il viso, e la beltà.

Dice a lui diletta prole
Il tuo duol, dimmi qual fu
Se son vere tue parole,
Quel crudel non s’ami più.
E se mendace a suoi diletti arrido

Mi sia figlio lo sdegno e non Cupido.

Ripiglia amore io di fare tra aurati
Ricinto il fianco e stretto
Su la tenera man l’arco fatale,
Con fanciullesco affetto,
Men gìa scherzando ove tra fieri assalti
Vieta l’alta Turino al Gallo armato
Della Savoia il Prencipe feroce
Madre ancora fra l’armi io sono Amore,
Ond’ a nobil Donzella,
Fra le belle più bella.
Io sussurrai con magico tenore,
Mira quel Cavaliero
Delia, per amor mio donali il core.
Che deggio dir di più leggiadro foco,
Non fia madre non fia
Ch’abbruciar altro cor già mai si vanti
Di sì bell’opra spesso,
Habbi invidia a me stesso.
Ah la troncò l’empia furor di Marte,
Madre e l’alta vendetta a te s’aspetta,
E se tu lasci inulto amor sì fido

Ti sia figlio lo sdegno, e non Cupido.

Io diedi in mano a la Donzella audace
La fiera spada e di lucente acciaro
Gli cinsi il fianco e di leggiadro elmetto
Gl’ornai la fresca guancia e l’aureo crine.
Io le membra Divine,
Io gli feci celar sotto l’usbergo,
Io gli insegnai premere ardita il tergo
Di superbo destriero,
E vincer e pugnar qual Cavaliero.
Hoggi deposta a periglioso assalto
Uscì da forte il Cavalier invitto
Dal feroce conflitto,
Ritrar la bella Donna arte non valse
E professò con generoso vanto,
Voler morire al suo signore accanto,
E vi morì dal fiero stral trafitta.
Poi che sentissi il petto el caldo sangue,
Scorrer fuor delle vene,
E di sanguigno smalto
Già ricoprir l’armi d’argento
Poi che senti morirsi al suo pietoso
Signor, che la cadente sostenea
Giunto all’estremo passo
Della pallida morte
Fido sostegno e forte
Dal soverchio dolor fatto di sasso
Disse, sin qui ho potuto hor più non lece
Segue Signor la pugna,
Et il nemico scaccia
Dal vallo il mio morir. Deh non ritardi
La sorgente vittoria e la fortuna.
Io qui moro felice
A te moro tua moro anzi mi lice
Morirti in braccio e se pietoso affetto
Desta in te questo sangue,
E la vita che langue
Frena il duolo ti prego
Ch’il tuo dolor mi fa temer la morte,
Et a lui quelle lagrime non niego
Che niego all’impietà della mia sorte.

Deh di me ti ricorda e per me al cielo
Pietà chiedi a miei falli e al nostro amore
A pena giunse qui
Che fattasi di giel tacque e morì.
Madre s’altri dolore
Del tuo morir non ha
Mai non provi in amor giorno felice.
Arda di chi lo sprezzi
Provi una volta sol d’esser contento.
Acciò poi senta il duol tanto più vivo,
E più fiero tormento
Quand’egli ne sia privo.
La fiera gelosia col crin di serpi
E con la man di giaccio
L’empia di peste ria,
E gli circond’ il cor di freddo laccio,
Et essendo in amor sempre fedele
Per suo dolor crudele
Vegga il suo bene a un suo nemico in braccio,
E tu madre se il ciglio
Non bagni di pietà su questo lido,

Ti sia figlio lo sdegno, e non Cupido.

Tacque amore e la vezzosa
Citerea
Ben che Dea
Per pietade lacrimò,
E giurò vendicarlo. e s’io nol fò
Disse con alto grido

Mi sia figlio lo sdegno, e non Cupido.

Paese

Italia

Lingua

Italiano

Segnatura

F-Pn - Paris - Bibliothèque Nationale de France
collocazione RES VM7-102-150.4

Scheda a cura di Sébastien Guillot-Genton
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