Scheda n. 5333

Tipo record

Scheda inferiore

Tipo documento

Musica manoscritta

Data

Data incerta, 1660-1700

Titolo

Hor che il ciel fra densi horrori / Cantata à 2 Canto, e Basso / Con istromenti / Del sig.r Bernardo Pasquini

Presentazione

Partitura

Legami a persone

compositore: Pasquini, Bernardo (1637-1710)
copista: Antelli, Giovanni (1634c-1696)

Fa parte di

Pubblicazione

[Roma : copia di Giovanni Antelli, 1700-1710]

Descrizione fisica

C. 44-77

Filigrana

Non rilevata

Titolo uniforme

Organico

Soprano, basso, 2 violini e continuo

Descrizione analitica

1.1: (sinfonia, re minore, c)
2.1: (aria, do minore, c)
Hor che il Ciel fra densi horrori
3.1: (recitativo, c)
Io, che per opra del Divin Fattore
4.1: (aria, do minore, c-3/2)
Chiusi Avelli disserratevi
5.1: (ritornello, mi♭ maggiore, 3/2)
6.1: (recitativo-arioso, c)
Ahi, che di te non meno, amica terra
7.1: (aria, mi♭ maggiore, c)
Miei flutti vastissimi
8.1: (aria, sol minore, 3/2)
Dia tributi la terra / Dia pur tributi il mar
9.1: (ritornello, sol minore, 3/2)
10.1: (recitativo, c)
Ed io misera, ed io
11.1: Ardito(aria, re minore, c)
Grandini furibonde
12.1: (ritornello, do maggiore, c)
13.1: (aria, c)
Antri, boschi, rivi, fonti
14.1: (ritornello, la minore, c)
15.1: (recitativo, c)
Qual ignota possanza
16.1: (aria, re minore, 3/2)
Miei pallori gelati e letali
17.1: (aria, c)
Taci, e lascia ch’io solo
18.1: (ritornello, do maggiore, 3/2)
19.1: (aria, la minore, c)
Piangete, o fiori
20.1: (arioso, c)
Ma, oh stupore! che veggio?
21.1: (aria, sol minore, 3/8)
Fere inghiottitelo
22.1: (recitativo, c)
Lungi, pietosi affetti
23.1: (aria, do minore, c-3/8-c)
Ahi de l’huom barbare voglie!

Trascrizione del testo poetico

Hor che il Ciel fra densi horrori
Suoi fulgori
Mesto avvolge e in duol profondo
Langue il Mondo,
Dispietato Mortal, dimmi che fai?
Su su, in pianto il tuo Cor distempra omai.

Io, che per opra del Divin Fattore
Madre sono feconda
D’erbe, di fronde e fiori,
Di fruttifere piante,
Io, che limpidi humori
E di fonti e di fiumi accolgo in seno,
Io, che d’oro e di gemme
Inesauste miniere
Ne le viscere mie chiudo e nascondo,
Come nel più profondo
De l’Oceano immenso
Non precipito a un tratto
Mentre su dura Croce
Soffre humanato Dio morte sì atroce?

Chiusi Avelli disserratevi
Marmi rigidi frangetevi
Ciechi Abissi spalancatevi
Monti alpestri dividetevi
Dia tributo la terra di dolore,
Se il Fattor de la terra esangue more.

Ahi, che di te non meno, amica terra,
Il mar doglioso, il mare
Dee con lagrime amare in larga vena
Pianger del suo Signor l’acerba pena!
Già già tumido inalzo
L’altiero Capo ardito
E su l’arido lito
Con roco mormorio prorompo e balzo.
Odi, come rabbioso,
Odi, come sdegnoso
Rapido stuol di tempestosi venti.
Il mio liquido sen scuote e flagella.
In sì fiera procella,
De gli squamosi armenti,
Mira, mira, le schiere
Ne i più cupi recessi
Fuggir veloci, e a tanto mio furore
I più audaci Nocchier gelar d’horrore.

Miei flutti vastissimi,
Vostre horride imagini,
Non cessino più!
Stridete mestissimi
E in ampie voragini
Apritevi, su!

La Terra
Dia pur tributi il Mare di dolore.
Il Fattor de la Terra
Se del Mare il Fattor esangue more.

Ed io misera, ed io
fra gli aneliti estremi,
fra gli ultimi martirî
d’un moribondo Dio,
humile in Terra e sovra i Poli immenso,
neghittosa che penso?
Sì sì, gema e sospiri con la Terra,
col Mar, l’Aria dolente:
copra dunque repente
de’ miei cerulei Campi il chiaro aspetto
fosco nubilo velo,
e di stellato Cielo
il fulgido seren più non risplenda.

Grandini furibonde
Fendetemi - squarciatemi,
Velenosi Vapori
Ergetevi - infettatemi,
Correte a cento a cento, a mille a mille,
Lampi, Tuoni, Saette,
Folgori ardenti e Globi di faville.

Antri, Boschi, Rivi, Fonti
Nembi, Nuvoli, piangete!
Piaggie, Scogli, Valli, Monti,
Aure, Turbini, fremete!

Qual ignota possanza
a i lamenti m’invoglia, anzi mi sforza?
Qual improviso horrore
offusca del mio volto il bel candore?
Ahi, lassa, hor ben discerno
l’alta cagion del mio cordoglio interno:
fra palpiti mortali,
fra barbari tormenti
agonizza quel Dio
cui piacque già crearmi
Luminare minor perché a i Viventi
le Tenebre notturne io rischiarassi.
Oh, d’empia crudeltade
più non udito esempio!
Come tosto non cade,
come non si dilegua a tanto eccesso
in lagrimoso humor l’Empiro istesso?

Miei pallori gelati e letali,
mie sembianze funeste e severe,
distillate diluvij di mali,
hor sanguigne, hora squallide, hor nere.

Taci, e lascia ch’io solo
apra libero il varco al mio gran duolo,
io, che fui de’ pianeti
dal sovrano Motor Principe eletto,
Occhio del Cielo e Lampada del Mondo.
De’ miei splendidi raggi
ogni lume vital fia che s’ecclisse,
stiano immobili e fisse
per lo terrore attonite le sfere
ed in perpetui giri
l’eterea immensa mole
sovra i cardini suoi più non s’aggiri:
del Sole eterno al lagrimevol Caso
cada mia luce in sempiterno occaso.

Piangete, o fiori,
piangete, o stelle!
Vostri colori,
vostre facelle
d’atro lugubre ammanto,
deh ricoprite in doloroso pianto.

Ma, oh stupore! che veggio?
Son cieco o pur vaneggio?
In così amaro lutto,
l’huomo col ciglio asciutto?
L’huomo perfido, ingrato,
che di sua man creò l’Onnipotente
a se stesso simile,
a pro di cui risplendo,
per cui dal divin soglio
scese il verbo increato e morir volle.
In così amaro lutto,
l’huomo col ciglio asciutto?

Fere inghiottitelo,
Fulmini ardetelo,
Flutti assorbitelo,
Astri uccidetelo.

Lungi, pietosi affetti,
da voi mai sempre tenga
implacabile Fato:
non merita pietade un dispietato!

Ahi de l’huom barbare voglie!
Vive in giubilo e in contento,
quando in pelago di doglie
giace involto ogn’Elemento.
Duro marmo ecco si frange,
piange il Ciel, piange il Mar, l’huomo non piange.

Paese

Italia

Lingua

Italiano

Segnatura

I-FAN - Fano - Biblioteca Comunale Federiciana
fondo Federici
collocazione Mss 90.2

Scheda a cura di Teresa M. Gialdroni
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