Scheda n. 5177

Tipo record

Scheda inferiore

Tipo documento

Musica manoscritta

Data

Data incerta, tra il 1700 e il 1710

Titolo

Taci Eurilla deh taci

Presentazione

Partitura

Legami a persone

compositore: Mancini, Francesco (1672–1737)

Fa parte di

Pubblicazione

[S.l. : copia, 1690-1710]

Descrizione fisica

C. 95r-100v

Note

Datata maggio 1707 nella fonte concordante I-Gl A.7b.42 (A.1.20) (1). Cfr. scheda n. 4356.

Organico

Soprano e continuo

Repertori bibliografici

Wright 1975: 95, 107, 162
Anglés - Subirá 1949: vol. I, p. 413

Descrizione analitica

1.1: (recitativo, fa maggiore, c)
S, Taci Eurilla deh taci
2.1: andante(aria, re minore, 3/8)
S, È difetto della fede
3.1: (recitativo, c)
S, Non mi chiamar crudele
4.1: à tempo giusto(aria, si♭ maggiore, c)
S, Fatto il colpo fu visto ch'amore
5.1: (recitativo, c)
S, All'or gittò la benda
6.1: un poco largo(aria, la minore, 12/8)
S, Quando fu che si piangea
7.1: (recitativo, fa maggiore, c)
S, A te restò del Dio d'amor la benda

Trascrizione del testo poetico

Taci, Eurilla, deh taci, oh come, oh quanto
Col dubitar del amor mio m’offendi,
Se il mormorio di quel ruscello intendi,
Saprai che l’acque sue sono mio pianto.
Mira e vedrai sotto quell’acque i sassi,
Che schieggie son di questo cor spezzato
Dalli fulmini, oh Dio, de tuoi begl’occhi.
Quanto vedi et ascolti
E il caldo venticel, che tu respiri,
Son mie piaghe, mio pianto e miei sospiri.

È difetto della fede,
Se un amor, che poi si vede,
Per amor non vien creduto.
E se un cor non è spietato,
Il chiamarlo infido, ingrato
Argomento è di rifiuto.

Non mi chiamar crudele,
Che mai non fu senza pietà Fileno,
Solo il cor mio senza pietà mi vide,
Quando per te, ch’all’amor mio non credi,
Me lo svelsi dal petto e a te lo diedi.
Sai pur, se il primo io fui
A palesarti Eurilla
Quel, che star non potea più chiuso foco,
Ti mostrai la profonda alta ferita,
Alta così, che quando il cor m’aprio,
Vi perdè la saetta il cieco Dio.

Fatto il colpo fu visto, che amore
Per ritoglier suo dardo sen venne.
Ma non l’ebbe, che tutto nel core
S’era immerso già sino alle penne.

All’or gittò la benda
Per veder la gran piaga
E la trovò si grande il nume cieco,
Che per pietà si mise a pianger meco.

Quando fu, che si piangea,
Mi parlava ogni pupilla.
E dolente mi dicea:
Qui si piange per Eurilla.

A te restò del Dio d’amor la benda,
Bendasti i lumi tuoi, più non ci vedi
E questa è la cagion, che non mi credi.

Paese

Spagna

Lingua

Italiano

Segnatura

E-Mn - Madrid - Biblioteca Nacional
collocazione M/2246.48

Scheda a cura di José María Domínguez
Ultima modifica: