Scheda n. 2327

Tipo record

Scheda inferiore

Tipo documento

Musica manoscritta

Data

Data certa, 1713

Titolo

Cantata à 2. Voci / Plutone, e Proserpina / Soprano, e Contralto / Con VV. e Viola / Del Revdo Padre D. Diogenio.

Presentazione

Partitura

Legami a persone

compositore: Bigaglia, Diogenio (1676-1745)
autore del testo per musica: Ottoboni, Antonio (1646-1720)

Pubblicazione

Roma : copia di Tarquinio Lanciani, 1713

Descrizione fisica

1 partitura

Filigrana

Non rilevata

Note

In una raccolta di cantate su testi di Antonio Ottoboni compilata nel 1713.

Titolo uniforme

Rasserena il bel sembiante. Cantata, Plutone e Proserpina

Organico

Soprano, contralto, 2 violini, viola e continuo

Descrizione analitica

1.1: (aria, re minore, 2/4)
Rasserena il bel sembiante
2.1: (recitativo, c)
Di Saturno son io l'ultimo Prole
3.1: Presto(aria, si♭ maggiore, 3/8)
Han riguardo in sin le sfere
4.1: (recitativo, c)
Placati, ò Bella, e l'error mio perdona
5.1: Prestissimo(aria, fa maggiore, c)
Son tra l'unghie inique e sozze
6.1: (recitativo, c)
Consolati, cor mio, vedi Cocito
7.1: (aria, mi♭ maggiore, c/)
Sei Regina e il mio bidente
8.1: (recitativo, c)
Ah, che son qui pur anche Elena e Dido
9.1: (duetto, sol minore, 3/8)
L’incostanza è un reo costume
10.1: (recitativo, c)
Godo però, ch'un tal timor l'ingombre
11.1: (duetto, sol maggiore, c)
Il mio amor negar non so
12.1: Affettuoso(duetto, mi minore, c)
Già perdono ogni tuo errore
13.1: Presto(aria, do maggiore, c)
Dileguatevi, sparite

Trascrizione del testo poetico

Plutone: Rasserena il bel sembiante,
Sposa mia non pianger più.
Piacque Giuno al gran Tonante,
A Nettun piacque Anfitrite
Et al Re dell’ampia Dite,
Bella mia, piacesti tù.

Di Saturno son io l’ultimo Prole.
Siede sù i Rai del sole
Primo genito Giove, il tuo gran padre.
Alle marine squadre
Nettuno impera et io
Tengo sù l’ombre cieche il soglio mio.
Proserpina: Ah Pirata, ah Tiranno,
Dunque il fiero costume
Di rapir le Donzelle
Con forza e con inganno
È un’impresa da Nume?
Voi pure vedeste, ò stelle,
L’esecranda rapina e Giove istesso
Tollerò, benché Padre, il grave eccesso?

Han riguardo in sin le sfere
Di punir giuste e severe
Un gran Reo, s’egl’è gran Rè.
Ma più giusto è in me lo sdegno,
Ch’odia il Rege, aborre il Regno,
Ne può dargli amor e fè.

Plut.: Placati, ò Bella, e l’error mio perdona!
A me pure dispiacque
Di non sortire il desiato impero
O del cielo o dell’acque,
A chi nacque primiero
La sorte arrise, a me fù aversa, quando
Possa dirsi sventura un gran commando.
Vedi però, ch’intorno al tuo bel viso
Danzan ebri di gioia e furie e mostri
E per te, non sò come, in questi chiostri
Entrò furtivo e forastiero il riso.
Pros.: M’accorgo, che dannata
Già son d’Abisso al carcere profondo.
Veggo, ch’è disperata
La speme mia di riveder il mondo.
Madre, tu cherchi in vano
L’unica Figlia e chiedi
Della perdita mia conto alle stelle.
China, afflitta Cibelle,
La torreggiante Testa a i Regni tui,
Già Proserpina fui,
Or con strana vicenda
Fatta son ne gl’Albissi Ecate orrenda.

Son tra l’unghie inique e sozze
Del gran Demone d’Averno.
M’hà tradita, m’hà rapita
Ed’accende all’empie nozze
Imeneo faci d’inferno.

Plut.: Consolati, cor mio, vedi Cocito,
Che il piè ti baccia e non t’offende, vedi
Scorrer placido e quieto
Flegetonte à tuoi piedi,
Vedi Caronte lieto,
Che l’instancabil barca
Ferma, fisso ti mira e il braccio inarca.
Il Trifauce mastin china le Teste
E le cure moleste
Cessan di Titio e d’Isione e giugne
E col labro e con l’ugne
Tantalo al mobil cibo e al rio fugace
E la fame e la sete appaga in pace.
Vedi contro il lor uso
Gettar per inchinarti in sin le Parche,
Naspo, Forbice e Fuso.
Deh, quelle ciglia carche
Di lagrimoso umor tergi e consola
E comprendi, che in questo
Gran recinto Infernal peni tu sola.

Sei Regina e il mio bidente
Stringer puoi
E la terra, quando vuoi
Fardà i cardini crollar.
Il mio amor, bella, non mente,
Che tra mostri
Tetri e rei di questi chiostri
La mia fè non può mancar.

Pros.: Ah, che son qui pur anche Elena e Dido,
E Frine, e Cleopatra et altre mille,
Che per essermi infido
Posson destarmi in sen nuove faville.

L’incostanza è un reo costume
D’ogni sposo, ancor che Rè.
Plut.: Son marito, mà son Nume
E ti giuro eterna fè.

Godo però, ch’un tal timor l’ingombre
Mà vuole il tuo Pluton corpi, e non ombre.
Pros.: Già che il destin così dispose e forse
Vuolle o strinse un tal nodo il Padre mio
Forz’è, che assenta,
E vi concorra anch’io.
Non mi diedero l’Orse,
Pluto, un barbaro latte e l’inhumana
Ferità non ho in sen di Tigre Ircana.

Pros.: Il mio amor negar non so
Al crudel che mi rapì.
Plut.: Dell’error colpa non ho,
Se il tuo ciglio mi ferì.

Pros.: Già perdono ogni tuo errore,
Sposo mio, ti dono il core.
Plut.: Deh’, perdona ogni mio errore,
Sposa mia, ti dono il core.

Pros.: Dileguatevi, sparite,
Dense tenebre d’Averno!
Imeneo la sede accenda
E il gran Talamo risplenda,
Chi portò la gioia in Dite
E gl’amori entro l’inferno.

Paese

Italia

Lingua

Italiano

Segnatura

GB-Lbl - London - British Library
collocazione Loan 91.11.1

Scheda a cura di Berthold Over
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