Scheda n. 1856

Tipo record

Scheda inferiore

Tipo documento

Musica manoscritta

Data

Data certa, 1690

Titolo

[Trasse lunga stagione]

Presentazione

Partitura

Legami a persone

compositore: De Luca, Severo (fl. 1684-1734)
autore del testo per musica: Paglia Francesco Maria
possessore: Pamphilj, Benedetto (1653-1730; cardinale)

Fa parte di

[Cantate da camera] (n. 1755/15)

Pubblicazione

Roma : copia, (1690)

Descrizione fisica

143-148v

Filigrana

Non rilevata

Note

La cantata è stata copiata per Pamphilj nel 1690. Testo di Francesco Maria Paglia in I-Rvat, Vat.lat.10204 dove la cantata è attribuita a de Luca. c. 148v timbro Colonna

Titolo uniforme

Organico

Soprano e continuo

Repertori bibliografici

Descrizione analitica

1.1: (recitativo-arioso, si minore, c)
Trasse lunga stagione
2.1: (aria, si minore, c)
Bella pace del cor mio
3.1: (recitativo, c)
Mentre il Pastor gentile
4.1: (aria, la maggiore, 3/8)
È costume di te, mia sirena
5.1: (recitativo-arioso, si minore, c)
Sì, sì, nell’ardorarti io godo e peno

Trascrizione del testo poetico

Trasse lunga stagione hore serene
Tra le foreste sue Silvio felice,
Che non entran le pene
Nell’albergo romito
D’innocente pendice.
Ma quasi egli avvilito
Stimasse il cor tra solitarie belve,
Diede il tergo alle selve.
Giunse errando su il Tebro,
E quando stanco ei riposar volea,
Udì scoglier il canto
A una voce sì bella
Di nascosta donzella,
Ch’un Nume a lui parea.
Udire, amare e abandonarsi al duolo
In quel povero core
Fu l’istesso momento,
Onde agitato d’un immenso ardore
Queste, o simili voci ei diedi al vento:

Bella pace del cor mio,
Prendi pur l’ultimo addio,
Che mai più ti rivedrò.
Benché dolce è quella voce,
Ch’appirarsi all’aura io sento,
È una tromba assai feroce,
Che fa guerra al mio conteno,
E mi dice il cieco Dio,
Che fuggirla io non potrò.

Mentre il Pastor gentile
Palesava così l’occulto affanno,
Vidde la Donna, anzi dirò la Dea,
Che poi anzi non vista, udita havea.
Il balenar degl’occhi
Ei di gemino dardo vittima cadde.
E si trovò ferito
Dalla voce l’udito, il cor dal guardo.
Indì a colei, che l’alma gli rapì,
Egli disse così:

È costume di te, mia sirena,
D’allettare ed uccider col canto.
Io disprezzo d’Ulisse il consiglio,
S’è bello il periglio,
È dolce la pena,
È amabile il pianto.

Sì, sì, nell’ardorarti io godo e peno
E mi giunge nel seno
Hora tiranno, hora soave il telo,
Perché ti pose il fato
L’inferno a gl’occhi e fra le labra il cielo.

Paese

Italia

Lingua

Italiano

Segnatura

D-MÜs - Münster - Santini-Bibliothek (in D-MUp)
collocazione Sant.Hs.855.15

Scheda a cura di Berthold Over
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