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Redazione
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Titolo uniforme
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Descrizione analitica
Sotto l’ombra d’un pino
O Cecco poveraccio
Sin a due volte o tre
Al repentino avviso
Ohimè ch’io muoio e muoio da dovero
Empio e crudo destino
Oh che nuova da calze
Vedendomi scartato
Ma Lasso e chi è quello
Qual dunque in questo caso
Vago e dolce terreno
E tu Lisa crudele
In sì fatta maniera
Trascrizione del testo poetico
Sotto l’ombra d’un pino
Alto cinque o sei canne e forse più
Al suon d’un chitarrino
Cantava Cecco la cuccuruccù.
Quando venirne a sé
Con frettoloso piè mirò Mengaccio
Che fatto s’egli a presso
Quanto sarebbe a dir da qui a lì
Con un brutto mostaccio
La bocca aperse e favellò così:
O Cecco poveraccio
O misero infelice a te sgratiato
Qual domin di peccato
T’ha mai condotto a così strano passo?
Qual furia o satanasso
Gode di tormentarti in questa guisa?
Lisa tua la tua Lisa
Che nell’esser galante
Non cede a Bradamante
E brava è poco men d’una Marfisa
Lisa tua la tua Lisa
Candida e fresca più della ricotta
È da mangiar col pane assai migliore
D’una pera bugiarda o bergamotta
Nonostante la fede
A te più volte in mia presenza data
(Scoppiami il core a dirlo) è maritata.
Sin a due volte o tre
Ciò detto il buon Mengaccio sbadigliò
Ma dopoi ch’io non ho soggiunse alfine
Negl’alborelli miei pillola alcuna
Al tuo male opportuna
Rimanti col buon dì che Dio ti dia
E senza altro spettar sgambettò via.
Al repentino avviso
Di sì strana novella e traditora
Cascorno a Cecco e core e coratella
E per un quarto d’hora
Perse affatto la vista e la favella.
Indi ripreso fiato
Fé mille pezzi e più della chitarra
E con cera bizzarra
Scaraventò per terra e giubba e saio
E doppo haver col pugno
A sé medesmo di volte almeno un paio
Scalfitto il petto et ammaccato il grugno
Tenendo al ciel le luci intente e fisse
In un languido ohimè proruppe e disse:
E come può mai stare
O Lisa mia che mia ti vuò pur dire,
Ancor che fatta d’altri hoggi ti sia
E come può mai star ch’habbi pensiero
Di voler il tuo Cecco abbandonare.
Ohimè ch’io muoio e muoio da dovero
O Nencio o Beco o Togno
E voi Sandrino e Nanni soccorrete
Soccorrete vi prego al mio bisogno
E se per avventura
Non aveter fra mano
Lo scotto o l’ìOrvietano
O altro salutifero segreto
Datemi per pietade un po’ d’aceto.
Empio e crudo destino
So dir che questa volta
M’hai dato il mio dover sin a un quattrino
Oh quanto era men male
Ch’un aspro temporale
Mandato avesse al diavol la ricolta
O che dal vento scossa
Giacesse a terra quella vigna ond’io
Rendo di fichi iol corpo mio satollo
Ovver per qualche fossa
Rotta si fosse ogni mia vacca il collo
Che metter me che t’amo, o Lisa, tanto
In questo laberinto e ginepreto.
Datemi per pietade un po’ d’aceto.
Oh che nuova da calze
Mi recasti Mengaccio! Era pur meglio
Gettarmi a capo chino in queste balze
Almeno avrei finita
E la doglia e la vita
Almen non t’avrei vista, o Lisa ingrata,
fatta d’ogn’altro che di Cecco sposa.
Cosa tremenda cosa
Inaspettata tanto e tanto strana
Ch’a pensarci ben bene
Non sol m’aggancia il sangue entro le vene,
Ma fa venirmi insino la quartana.
O fiumi o boschi, o monti
O parenti o vicini
O popoli o brigate
Che fate ohimè che fate
Che non porgete aiuto a quest’afflitto
Che per essere stracco
Omai vacilla e non può star più dritto?
Che fate ohimè che fate?
Almeno o genti almeno
In sì strano accidente
In sì fiera sventura
Che mi toglie per sempre il viver lieto
Datemi per pietade un po’ d’aceto.
Vedendomi scartato
Dall’esserti marito
E privo affatto della grazia tua
Ognun dirà la sua
E per le piazze mostrerammi a dito
Onde sarò sforzato
Saltar in qua e’n là come i ranocchi
Et andar pel mercato
Col capo in seno e col cappel su gl’occhi
E quel che più pesa
Per non gir procacciando
Ad ogni piè di spinta una contesa
Farammi di mestiere
Ascoltar mille bubbole e ster cheto.
Datemi per pietade un po’ d’aceto.
Ma Lasso e chi è quello
Temerario sfacciato et arrogante
Che di togliermi ardisce ogni mio bene
Itene pur altrove o cantilene
Ite in malora o chiacchiere e lamenti.
Olà fidi compagni olà parenti
Olà bifolchi amici e paesani
Alle mani alle mani
Armatevi di pale
Di ronche e di forconi
Di pungoli e spuntoni
Di cinquadee di targhe e di pugnale
E per simil’eccesso
Spaccate adesso adesso
Indue parti la testa e quell’audace.
Non si parli di pace
Ché non voglio acchetarmi
Se prima con quest’armi
Non s’atterra e s’uccide e s’io non veggio
Ai corvi in pasto et alle volpi darlo.
Ma dove son? Che parlo?
Che penso? Che vaneggio?
Ah! Che non son le genti sì matte
Che voglin qui fra noi
Mettersi a grattar rogna o pelar gatte
E guastar per quei d’altri i fatti suoi.
Et io solo non posso
A tant’avversità volger la fronte
Ancor ch’avessi un core
Da Mandricardo ovver da Rodomonte
E ancor ch’io facessi
Per tal cagione ‘l diavol’n un canneto.
Datemi per pietade un po’ d’aceto.
Qual dunque in questo caso
Sarà povero Cecco, il tuo partito?
E fra tanti pensieri
In qual per vita tua darai di naso?
Ritrovar ti vorrai forse presente
A segnarr l’altrui caccie et a vedere
Starsene in papardelle il tuo rivale?
Non che spettacol tale
Ti farenne in poch’ore intisichire.
Meglio dunque per te meglio morire.
Ire forse lontano
Vorrai dall’empia che t’ha dato l’ambio?
E dell’aratro in cambio
Colà tra ‘l Moscovita et il Persiano
Trattar lo schioppo e maneggiar la picca?
No che ‘l mestier dell’armi
Non è mestier da povero cristiano
Ma da persona ricca
Ch’abbia poco cervello e molto ardire.
Meglio dunque per te meglio morire.
Pensa e ripensa pur gira e rigira
Sofistica e stiracchia
Grida bifonchia e gracchia
Strologa quanto vuoi, piangi e sospira
Che giacché non ritrovi
Medicina che giovi
A render meno acerbo il tuo martire
Meglio dunque per te meglio è morire.
Vago e dolce terreno
Da me tant’anni sottosopra volto
Prati né quali ho colto
I fiori a fasci et a bracciate il fieno
Vomeri vanghe e zappe
Scure, falci, pennati
Rastrelli, correggiati
Che stretti tante volte ho con la mano
Poiché da voi lontano
Senza speranza alcuna
Di mai più rivedervi, il piè rivolgo
Per dimostrare appieno
Nell’andata fortuna
Quanto vi fu gradito
Fatemi in cortesia, fatemi almeno
Con un breve sospiro il ben servito.
Dai luoghi più segreti
Uscite o cervi a pascolar ne’ piani
E voi delle mie reti
Non temete gli agguati
Lodole, starne, tortore e fagiani
Ché l’empia che mi strazia
Non sol m’ha per sua grazia
Levato dalla testa uccelli e vischio
Ma privo davvantaggio hammi in credenza
Del corso e dell’usato fischio.
Giuochi, trastulli e spassi
Frottole e barzellette
Che delle sei le sette
Eri da me mandate a Lisa in dono
Datemi il buon viaggio se vi piace.
Caro saione e tu
Gradita intullurù restate in pace
Ch’io per sempre vi lascio e v’abbandono.
E dove dopo me dove n’andrà
L’amato colascione al suon del quale
Talvolta il carnevale
Cantar solevo la bernaccalà?
E dove dopo me, dove n’andrà
La mia piva diletta
Che spicca in eccellenza
Il passacaglio e l’aria di Fiorenza?
Alòmen qui nel paese
Si ritrovasse qualche cristianello
Ch’oltre il farvi le spese
Vi servisse di coppa e di coltello
E senza risparmiarsi d’un tantino
Vi tenesse ancor lui com’ho fatt’io
Tra la bambagia e nello scatolino
Addio pecore e buoi
Addio vacche e vitelli
Addio galline addio pulcini e voi
Figlli dell’orto mio cari piselli
Addio Licisca addio Melampo mio
Addio nonno addio mamma o babbo addio.
E tu Lisa crudele
Che bistrattato m’hai sì malamente
Aver possi dal ciel qualche marito
Discolo la sua parte e impertinente
Che ‘l vezzo e le smariglie
T’impegni e ti consumi
E che, dando ne’ lumi,
Faccia dar anco te nelle stoviglie
Anzi vivi felice, o Lisa, e fa’
Per dar gusto ai parenti et ai vicini
In pochi mesi un branco di bambini.
Tempo forse verrà mentre vivrai
Ch’al fin t’accorgerai
Se però più del giusto io non mel becco
Chi son l’altre persone e chi era Cecco.
In sì fatta maniera
Giva quel poverello
Con l’empia che non v’era
La sua pena sfogando e’l suo martello
Ma poi ch’egli s’accorse
Che per dar fama a simili pastocchie
I granchi e le ranocchie
Abbandonate avean le buche e l’acque
Serrò la bocca immantinente e tacque.
Paese
Lingua
Segnatura
fondo Baini
collocazione Ms. 2475.43
Scheda a cura di Teresa M. Gialdroni