Scheda n. 4534

Tipo record

Scheda inferiore

Tipo documento

Testo per musica manoscritto

Data

Data incerta, 1726-1750

Titolo

L’Ingratitudine / Cantata per Musica

Presentazione

Legami a persone

autore del testo per musica: Cybo, Camillo (1681-1743; cardinale)

Pubblicazione

[Roma : copia, 1726-1750]

Descrizione fisica

3 c. (153r-155v) ; 275x200 mm

Filigrana

Non rilevata

Note

Tit. dall’intitolazione a c. 153r; cartulaione coeva: 137-139; il nome dell’A. si ricava dal front. dell’intero ms.

Titolo uniforme

Se vizio o pur costume. Cantata, L’Ingratitudine

Trascrizione del testo poetico

Se vizio, o pur costume
Avesse da nomarsi
Quella, ch’ingratitudine si dice;
Nacque tra due Pastori un di contesa.
Mirtillo la difesa
Dell’ingrato costume egli prendea,
E con pronto parlar così dicea:
Corron nel Mare a gara onda con onda,
E con labro d’argento
Vuol ciascuna baciar prima la sponda.
Ma ingrate ai molli baci,
In aride catene,
Tributario il lor piè
Stringon l’arene.

Quella fiamma, che risplende,
Più s’accende
Se distrugge a poco a poco
Col suo fuoco
Chi la vita le prestò.
E fin l’aspide il veleno,
Per dar morte, chiude in seno,
A chi vita li donò.
                     Quella &c.

Apre bello, e vezzoso
Il vago fior nel prato
All’aure amiche l’odoroso seno,
Per renderle più grate, e più soavi,
E da’ placidi lor teneri amplessi
Attende vita, e pace;
Ma di respiro in vece
Forte aquilon lo scuote:
Onde pallido, e mesto
Ei cade a piè del suo nativo stelo,
Superato trofeo d’orrido gelo.

Scorre placido il rio,
E con onde serene
Di gioconda speranza adorna il prato;
Ma quantoei lo feconda,
Questi ingrato mischiando
All’onda di vil terra atro colore,
Spoglia i cristalli suoi del bel candore.

Reso ardito
Anche un vapore,
Con i fulmini fa guerra
Alla terra,
Che già prima lo formò:
E facendosi maggiore,
Lo splendore
Toglie ingrato ancora al Sole,
Che sublime l’inalzò.
                     Reso ardito &c.

A ciò, che disse Aminta
Fileno replicò con gravi accenti:
Non è vero che ingrata
Sia cosa alcuna al Mondo,
Se pur non volle il Cielo,
Che dalla pena data
Alle cose minori,
La grandezza
Di mostro sì crudel
L’uomo apprendesse.
Che s’ingrate nel mar sono le sponde
Ai baci [cancellato] dell’onde a’i molli bagni
San ben queste cangian tosto costume,
E con ardite spume
Calpestando l’arena
Orgogliose sferzai chi l’incatena.
Se l’aspide il celono,
Per chi lo generò chiuse il seno,
Da parti suoi crudeli un’egual sorte
Ad esso anche è serbata:
E se la fiamma ingrata
Distrugge chi le dié vita, e splendore,
Tolse nel tempo stesso
Il dovuto sostegno al proprio ardore.
Quel fiore, che nel verno
Frettoloso apre il seno all’aure, al vento,
Altra cagion non ha del suo morire,
Che il troppo incauto ardire.
Vapor dal sole alzato
Può co’ fulmini suoi
Atterrar moli eccelse;
Ma allor che tanto ingrato,
Inalzandosi troppo,
Scemar luce, e splendore
A chi vita li dié;
L’errore egli ben spesso
Piange, e nel pianto suo
Perde se stesso.
Se dunque l’uomo ingrato
Non prova al suo fallir tosto la pena;
E’ solo, perché il cielo
Riserba alle saette
D’un più giusto rigor le sue vendette.

A se stesso, ad altri, ai numi
Manca un cuore,
Che in offesa anche il favore
Ha costume di cambiar.
Ma si barbaro rigore,
Per punir con giusto zelo,
Solo il Cielo
E’ bastante a fulminar.
                     A se stesso &c.

Paese

Italia

Lingua

Italiano

Segnatura

I-Rn - Roma - Biblioteca Nazionale Centrale
collocazione Ms. Gesuitico 88.23

Scheda a cura di Giacomo Sciommeri
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